Tempo fa Giorgio Sangiorgi mi invitò a scrivere una breve racconto , per un antologia di racconti concatenati sui nostri ricordi di lettori e sulle angosce nel presente. Sulle nostre angosce, gli autori sono in un cerchio, in ogni racconto narrano la loro permanenza in una prigione  anche mentale da cui cercando di evadere, e ogni racconto è un’unità un piccolo tassello , di questa giostra. Vi invito ad acquistare l’antologia sul sito delle Edizioni  Scudo

Il plot è questo: Tu, non un tuo personaggio, ma proprio tu , apri gli occhi e ti accorgi di non essere più dov’eri un momento fa. Adesso sei dentro una sorta di ambiente foderato, come la stanza di un manicomio. Su una parete vedi un finestrino stretto e guardando fuori scopri che sei nello spazio. Il cubo in cui sei rinchiuso non è solo, ce ne sono tantissimi altri; l’uno connesso all’altro in modo da formare un immenso anello di cui vedi solo una parte. Riesci a vedere i cubi alla destra del tuo e che sono numerati 3, 4, 5 e così via. Allora capisci che sei nel numero 27.Torni a guardare la stanza del cubo e vedi un pannello video. Sul pannello c’è un testo che contiene messaggi di altre persone (vedi allegato). Dopo un po’ riesci a ottenere una tastiera e capisci che non potrai rispondere ai messaggi dei cubi precedenti ma solo inviare un messaggio al cubo successivo. Allora cominci a scrivere e poi invii il messaggio, senza sapere poi cosa avverrà. Potrai solo attendere.

Giorgio Sangiorgi

Intanto ecco il mio breve racconto….ma ci sono anche gli altri e vanno letti.

Unità 27 –Enrico Grossi

Ho sempre sognato di vivere la avventure che leggevo, negli Urania comparati con le mance. Sono in una cella della prigione cubitale nello spazio. Nel film The cube, per riavere libertà, i reclusi dovevano risolvere sadici giochi matematici sui numeri primi. Non ho percepito i sintomi di claustrofobia che mi hanno aggredito nella cuccetta su un treno Malaga-Barcellona anni fa. In questa cella mi manca una scacchiera. Nella serie The Prisoner, Numero 6 è stato più fortunato, recluso in un villaggio, in apparenza di vita normale, tentava la fuga non sapendo di chi fidarsi. Una palla bianca sorvegliava i confini impedendo le fughe degli “ospiti”. La trottola della mia memoria rotea sulle immagini del passato. Ho vissuto con l’incubo del tempo che passa, la paura di invecchiare, le domande di come sarà il gran finale, il dopo, solo Dante l’ha raccontato, il suo viaggio è stata solo un’invenzione poetica, oppure no? Gli altri cubi, celle nello spazio, assomigliano al cimitero infernale di Farinata degli Uberti, unica anima dannata a uscire dalla tomba, per dialogare con il poeta fiorentino. Nelle altre celle, di questa galera spaziale ci sono persone vive. Cara Unità 28, sto ripensando a quel mio risveglio nel profondo della notte d’estate, i rumori esterni, sono corso alla porta, non trovando il panorama tranquillo della pianura, ne il visitatore dell’ultimo giorno. Forse la porta di questa cella a un certo momento si aprirà. Troveranno un corpo senza vita, il visitatore dell’ultimo giorno lavora anche in trasferta l’azienda non conosce ferie, ne soste, ne confini. Come nella Gabbia d’Ottone di Delany in questa cella-cubo ho trovato una criticità. Ho percepito qualcosa accanto allo schermo, un’incrinatura, premendo, la parete non è cosi rigida, le scarpe di questa divisa grigia, con uno strano logo sul taschino, hanno rivestimenti metallici sui lati, che ho sfilato, usandoli a mo’ di stiletti si inseriscono nel tramezzo, dando vita a delle fessure che sto allargando, ho tempo come nelle Ali della Libertà. Mi stanno sorvegliando, con un occhio mimetizzato nelle pareti? Possibile. Sono pronto a tutto. Oltre il muro, l’ignoto di una morte veloce, meglio di una lenta, ad aspettare lo scorrere di un destino indefinito